VISION

PLAN FOR THE FUTURE

Progetti evolutivi

RE_Habitare il pianeta

Come?

terapia degli innesti urbani e prototipi evolutivi

Dove?

ovunque

Status?

urgente

Siamo quelli a cui hanno insegnato che gli architetti devono costruire grandi cose.

Non sempre, per essere un grande architetto, bisogna costruire grandi cose, ci sono stati momenti storici in cui i grandi architetti sono stati prima visionari.

Crediamo che i grandi architetti debbano riscoprire la dimensione essenziale del rapporto <spazio-uomo-natura> e debbano saper valutare l’impatto delle <opere sull’eco-sistema>.

Piantiamo alberi e regaliamo ossigeno proveniente da una nostra foresta in Kenya.

Sosteniamo la salvaguardia dei mari dalla plastica.

Scegliamo i nostri clienti con l’obiettivo di condividere una mission importante: <tutelare la nostra terra>.

Stiamo riforestando aree industriali, rigenerando suoli abbandonati, cercando nuove forme di economia circolare, studiamo le mutazioni degli spazi fisici consolidati attraverso una terapia locale di rigenerazione sostenibile.

Preferiamo abbattere che ricostruire. Più che di volumi abbiamo bisogno di foreste se vogliamo preservare la “vera bellezza” del pianeta.

Per tutelare il pianeta non possiamo abbandonarlo dobbiamo
<RE_Habitarlo>.

RE_Habitare significa <re-imparare un nuovo modo di agire sui luoghi>.

Agritectura è la nuova “scienza architettonica” per un futuro possibile.

Il tempo dell’urgenza è il nostro tempo.

“Credo che avere la terra e non rovinarla sia la più bella forma d'arte che si possa desiderare.”
Andy Warhol
“Abbiamo una responsabilità che prima di tutto è un passo indietro rispetto alle nostre convinzioni, una possibilità di ripartire da noi stessi, di scansare quell'eterno bivio e decidere cosa essere, prima ancora di decidere cosa fare”
Oscar di Montigny
“Le previsioni, giudicate catastrofistiche, del rapporto del club di Roma nel 1972, si sono realizzate. Perché la situazione dovrebbe cambiare? Non cambierà. Se non facciamo una rivoluzione radicale del nostro modo di porci rispetto all’ambiente. Non abbiamo tempo. È oggi. Domani è troppo tardi “
Prof. Stefano Mancuso, direttore del laboratorio Internazionale di Neurobiologia vegetale

Glossario

Habitat

termine che nella lingua latina significa "egli abita" è il luogo le cui caratteristiche fisiche e ambientali possono permettere a una data specie di vivere, svilupparsi, riprodursi, garantendo, qualità della vita, la quale può diminuire o aumentare in base ai cambiamenti climatici o demografici.
Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
RE_Habitare

nuove strategie per la tutela della biodiversità natural/sociale per la cura delle amnesie urbane

Innesto

Operazione consistente nel saldare, cioè far concrescere, con una pianta, detta portainnesto o soggetto (in arboricoltura anche selvatico), una parte di un altro vegetale (detta nesto, oggetto o, in arboricoltura, gentile o domestico) in modo da formare un solo individuo.
Da Enciclopedia Treccani.
Innesto urbano

teoria ispirata alla pratica colturale arcaica applicata ai luoghi o alle singole architetture sinonimo di mutazione, fusione, evoluzione e sopravvivenza.

Amnesie

Nel linguaggio medico, l'amnesia è un disturbo della memoria a lungo termine episodica. La persona affetta da amnesia può essere incapace di ricordare eventi della sua vita recente, o in casi gravi anche eventi remoti, e può non riuscire ad acquisire stabilmente nuovi ricordi,
Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
Amnesie urbane

è il costante atteggiamento di dimenticanza verso i luoghi. Un modo di agire standard, dimenticando la necessità evolutiva del progetto contemporaneo.

Archquadro Evolution

01
stiamo studiando una piattaforma sperimentale di architettura evolutiva per la genesi dei nostri progetti basati sulla parametrizzazione della teoria dell’innesto
02
stiamo ricercando una nuova definizione di architettura del benessere ambientale e sociale come approccio evolutivo ai nostri progetti.
03
stiamo sviluppando prototipi indoor di vegetazione idroponica ed un’antologia di “agritecture”
04
stiamo sviluppando una nuova strategia di condivisione per curare gli spazi urbani abbandonati
05
stiamo progettando la nostra materioteca tecnico-sostenible per il futuro

Riflessioni Scomposte

di Laura Crognale e Dante Antonucci

Premessa/Intro

Lo spazio narra la storia di quello che rappresentiamo, tutto il nostro passato e tutto il nostro futuro passa attraverso quello che percepiamo. Viviamo su stratigrafie urbane che rappresentano epoche passate, paesaggi abbandonati, cantieri mai finiti, infrastrutture degradate. La crisi di ogni epoca è l’inizio di una nuova; l’umanità ha scelto sempre il cambiamento, senza mai arrendersi, per non rimanere uguale a se stessa. Viviamo il senso delle cose per evolverci quotidianamente nelle relazioni e nelle metamorfosi continue del proprio essere.
L’evoluzione pertanto è un processo condiviso che appartiene all’umanità.

Amo vivere in questo secolo perché amo cambiare, creare e trasformare la materia attraverso un processo di alterazione e conservazione critica e selettiva. Lo scarto non è il rifiuto ma al contrario l’errata cultura del progresso consumista. Il consumo di suolo, di oggetti, di relazioni si sta trasformando in recupero, re-use, riqualificazione. Questo non significa tornare indietro ma “usare in altro modo” i nostri spazi, la nostra terra, i nostri oggetti.

Abstract

ricerchiamo i fattori di mutazione dell’architettura, le trasformazioni, l’innovazione d’uso apportata da agenti esterni. Partendo dall’analisi sociale, cerchiamo nuovi modelli alternativi di stili di vita contemporanei che possano alterare i sistemi obsoleti esistenti, per iniziare un processo di rigenerazione architettonica e sociale.

Brano finalista Concorso Giovani Critici, 2012, presS/Tletter_AIAC e professioneArchitetto
BLOG
L'architettura è illegale

Pensiamo, oggi, di chiedere un permesso a costruire per una casa sulla cascata o per edificare su pali in una laguna o per un restyling di un edificio storico, ecco cosa accade: diniego. La casa sulla cascata di Write, reato ambientale su area tutelata dalla legge galasso e successive modifiche, Venezia città abusiva per costruzione su aree a rischio idrogeologico e pericolo di inquinamento ambientale, Borromini condannato per aver alterato lo stato originario di numerosi beni architettonici. Nel 2012 i più grandi architetti della storia che hanno sognato e costruito meraviglie oggi sarebbero condannati penalmente. Eppure mai come prima si guarda la storia come fonte di verità, modello a cui ispirarsi, ma bisogna comprendere l’evoluzione della storia per poter continuare a fare storia dell’architettura.

Negli ultimi anni sono state generate un’overdose di normative e vincoli per dettare parametri pseudo scientifici a garanzia del territorio, del costruire secondo un “piano sovraordinato” ed ecco il risultato: una città senza architettura. La norma ha distrutto tutti i principi storici alla base della qualità del costruire, lo spazio quotidiano è costretto, intrappolato nei parametri di legge minimi; tutto è al minimo, lo spazio della qualità architettonica è morto! come possiamo fare qualità nei sottotetti abusivi, nei bonus piano casa e similari, partendo dai regolamenti comunali che vietano i tetti verdi, i chiostri interni e le sporgenze. Sembra un discorso banale, poco aulico, ma è il presupposto per capire che quotidianamente non si è più liberi di progettare perché l’architettura è illegale mentre l’edilizia è legale.

Architettura geneticamente modificata

Contestualmente a questa realtà e in totale dissonanza connessa, oggi si progettano nuovi materiali geneticamente modificati e in un futuro prossimo sarà possibile pensare e progettare materie a proprietà multiple, a trasformazione di fase, a cambiamento di forma, la nuova generazione di materiali intelligenti rivoluzionerà la tecnologia costruttiva fino ad oggi conosciuta. Recentemente sono sorte le prime banche dati materiche per la promozione di nuovi brevetti da Matrec a Material Connexion, la Philips sta progettando nuovi appartamenti per il 2020 costruiti con un “pelle” capace di filtrare luce, recuperare acqua e depurare l’aria, nel Living Tomorrow a Vilvoorde tutte le più grandi multinazionali sperimentano la nuova dimensione di casa intelligente e a Linz nell’Ars elettronica Center si vedono i primi prototipi di superfici sensoriali ad alterazione di forma che interagiscono con il movimento umano. La nanotecnologia è la nuova scienza che altererà l’architettura ma, tutti gli scenari evolutivi e gli sforzi fatti dai laboratori di ricerca, sono privi di essere se la materia non sperimenta la realtà.

Architettura usa e getta

Oggi la sperimentazione è lasciata solo ai grandi progetti, ai grandi cantieri, ma anche lì qualcosa non funziona. Forse, gran parte di quei cantieri che nascono per grandi eventi, finiscono con il diventare “architetture usa e getta”; anche in questo caso siamo diventati consumisti ed è triste vedere come le architetture testamento dell’ecosostenibilità, studiate e pubblicate per i loro principi innovativi, a solo sei anni dalla loro costruzione vengono abbandonate ed alcune trasformate involucro contenitore di negozi cinesi. Ad Hannover come a Barcellona i tanto acclamati progetti che dovevano sviluppare e riqualificare spaccati urbani consistenti sono diventati luoghi più pericolosi di quelli preesistenti; su youtube impazzano i video amatoriali di giapponesi che fanno chilometri per vedere le grandi architetture, ma ecco cosa appare: transenne e sbarramenti, un sito inaccessibile perchè pezzi di rivestimento di architetture stanno cadendo giù. E allora o pensiamo di fondare un’associazione che salvi l’architettura contemporanea oppure capiamo dov’è il problema, per non continuare a reiterare un sistema malato.

Autoarchitettura

La vera aberrazione del sistema è sicuramente la dimensione, come l’economia globale sta degenerando e si parla di decrescita, parallelamente, anche l’architettura, deve confrontarsi e rappresentare la nuova realtà sociale. Diversi movimenti sociali stanno fondando scuole permanenti di decrescita, sostenibilità, ecologia; è nata, da tre anni, la conferenza internazionale e la festa della decrescita. Sullo stesso spirito iniziano corsi per autocostruire case in paglia, l’azienda agricola La Boa fa seminari in tutta Italia al costo di solo trentacinque euro per insegnare come fare a costruirsi casa e a Pescomaggiore il Comitato della rinascita nel cratere sismico Aquilano sta realizzando un eco villaggio in paglia costruito da volontari che pagano sette euro al giorno per il vitto e per aiutare la popolazione, il tutto gestito e promosso da un gruppo di giovani architetti BAG.
Autoproduzione è questa la nuova dimensione anche per il design italiano, se sei un giovane designer per vivere e sopravvivere devi autoprodurre e vendere in rete su piattaforme per edizioni limitate o nelle fiere tipo Operae a Torino dove i giovani talenti vendono direttamente le loro creazioni. Il design che era nato per la produzione industriale sta tornando ad essere artigianato di qualità. “L’energia creativa non organizzata” come definisce i nuovi designer Alessandro Mendini hanno perso qual è il contesto del design: esso nasceva per essere prodotto industriale, ma, la decrescita, ha portato il design ad una nuova era che sembra riportare il prodotto post-industriale ad uno stato pre-industriale.
Autoconsumo, autosufficienza, autoproduzione sono i nuovi paradigmi etici per il prossimo sviluppo. Storicamente l’autoconsumo è stato sempre definito “caratteristica dei primi stadi dello sviluppo economico” ora è tornato ad essere il modello a cui tendere;
anche in questo caso è nata una fattoria dell’autosufficienza che sostiene ed educa a concetti di permacultura e di agricoltura sinergica e si assiste alla nascita di tanti ecovillaggi che credono che l’autoproduzione alimentare ed energetica dona autonomia economica e di pensiero. L’architettura entro il 2020 dovrà essere energeticamente autosufficiente; gli spazi comuni delle città, le aree condominiali stanno diventando i luoghi di autoproduzione destinati a orti urbani comuni, per questo i tetti verdi, così come le terrazze verdi stanno colonizzando anche i progetti più ambiziosi quali lo skyfarming di New York. Non è questo un fenomeno elitario ma al contrario, come rilevato da uno studio della Garden Writers Association, è una tendenza che investe gli strati meno ricchi della città e che ha portato a raddoppiare il consumo di sementi in un solo anno. Il New York Time ha lanciato “il manifesto degli agricoltori metropolitani” a Brooklyn un campo da giochi nella red Hook Community è stato trasformato in una fattoria urbana da 12 mila metri quadrati dove gli studenti delle scuole superiori si alternano per coltivare ortaggi.
Inevitabilmente, ogni epoca, a trasformato il paesaggio secondo un modello di organizzazione sociale, questi cambiamenti radicali in atto, oltre che appartenere ad una nuova coscienza ambientale, rappresentano una risposta all’instabilità economica che stiamo subendo.
e allora?

Saldi estivi: Architettura a -50%

“In tempi di crisi nasce così, il progetto Aktiv. L’acquirente mette a disposizione terreno e soldi, poi gli svedesi pensano a tutto il resto” è questo un articolo di aprile del portale www.liberoquotidiano.it che annuncia il modello Ikea arriva sul mercato con un massimo di 80mila euro ad abitazione compreso anche i mobili. Definita da diversi blog una ”manna dal cielo” contro la crisi, lunga sedici metri e larga quattordici arriva tutta pre-assemblata e pronta per l’autocostruzione. Il progetto è stato ideato da Ideabox, una società di architetti con sede a Portland, Oregon. E’ difficile digerire annunci del genere, fino ad oggi, sono stati
tanti i progetti simili ma mai realmente attraenti, il colosso Ikea, con il suo brand, credo sia un modello molto pericoloso. Allora immagino quale sarà il prossimo tessuto urbano o tipologia edilizia di periferia o campagna: una serie di mini abitazioni identiche in tutto il mondo fatte ad un piano in legno in cui, la sola cosa che cambia, è il colore della cucina.

Credo che lo spazio-tempo per l’architettura sia finito. Abbiamo bisogno di una nuova dimensione, spero, in ogni modo, che non ci rimanga, come unica piattaforma per costruire liberamente il nostro pensiero, quella virtuale di Secondlife.

Brano estratto da
Progettare Nuove Centralità, Progetti della Facoltà di Architettura G.D’Annunzio, sala Editori, settembre 2010.
Centralità e sistema verde | il parco agricolo urbano

Nelle metropoli moderne esistono piccole ma numerose e importantissime realtà: gli orti urbani. Queste esperienze sono in grado di porre rimedio, seppure livello microscopico, alle storture del sistema consumistico e capitalistico: costituiscono dei polmoni verdi per le metropoli industrializzate, educano a pratiche ambientali sostenibili, rispondono all’esigenza di ‘fare comunità’ e offrono un’altenativa alle categorie sociali emarginate dalla società moderna. L’orto può costituire un’alternativa su piccola scala alla grande agricoltura intensiva, basata su ritmi di coltivazione innaturali, sull’ampio utilizzo di pesticidi, fitofarmaci, fertilizzanti, strumenti atti a conseguire il massimo rendimento per ettaro in termini di produzione.(…) Gli orti urbani costituiscono un fondamentale polmone verde per le città e contribuiscono spesso al recupero di aree degradate, sporche e abbandonate della metropoli”.’
Parlare di parco agricolo urbano significa argomentare su un fenomeno globale di micro-trasformazione territoriale che ha origine nella maturata consapevolezza della necessità di un nuovo modello di,sviluppo economico-ecologico. Una pluralità di Comuni, circa trentacinque in Italia, stanno adottando nuovi piani strategici di rigenerazione ambientale e paesistica per ridefinire le area urbane residuali come possibili luoghi sperimentali di relazione plurima con il paesaggio agricolo urbano.
Il sentito ritorno alla coltivazione si è sviluppato di recente a partire dalla Gran Bretagna quando circa 100 mila persone hanno fatto richiesta di avere un piccolo appezzamento di terra ad uso agricolo spesso situato in città. A seguito di questa richiesta da parte dei cittadini londinesi ai è sviluppata una strategia di trasformazione delle aree di risulta chiamata Capita! Growth che prevede un progetto comunitario di coltivazione agricola per la produzione di cibo da consumare secondo i principi di autosufficienza e sostenibilità ambientale. La stessa Gran Bretagna ha sperimentato progetti di Healing Gerrien e di Therepy Garcien, vera e propria disciplina scientifica per la riabilitazione di pazienti con disagi psico-sociali attraverso la Horticuttural Therapy, terapia riabilitativa basata sullo studio degli effetti benefici del contatto diretto natura-individuo. Analogo sviluppo si registra negli Stati Uniti che, solo nel 2008, ha visto raddoppiare le vendite di sementi per orti.
In Italia, una prima rivalutazione dell’economia rurale attraverso un modello di sviluppo sostenibile, viene data dalle legge di orientamento agricola nell’aprile dei 2001; Si parla infatti di distretto rurale come modello di sviluppo agricolo, basato sulla qualità dei prodotti, dei servizi, dei processi produttivi e delle relazioni tra agricoltura e società locale. Parallelamente ai sta sviluppando nelle maggiori città italiane un’interpretazione più urbana del distretto rurale: il parco agricolo. Parco agricolo significa mettere a sistema una pluralità di attività e soggetti operanti all’interno di un territorio aperto, pubblico e privato contemporaneamente. Il parco infatti accoglie all’interno le micro-economie locali di qualità, la produzione energetica derivante dallo scarto delle coltivazioni agricole, la commercializzazione di prodotti a chilometro zero, strutture di accoglienza per un turismo verde e i micro-campi agricoli di produzione specializzate secondo cicli biologici e biodinamici. Al modello complesso di parco agricolo si aggiungono i numerosi terreni incolti all’interno del tessuto urbano che vengono assegnati in comodato dalle amministrazioni ai cittadini come piccoli appezzamenti per la creazione di orti pubblici, orti didattici e luoghi riabilitativi adibiti alla pratica di orto-terapia.
Queste micro aree naturali diventano pertanto luoghi di aggregazione sociale, di riappropriazione del rapporto uomo-natura e luoghi dove poter riscoprire le tecniche di coltivazione naturali.
Un’ulteriore visione complessa del territorio intesa come pluralità di parchi è stata data dalla Regione Puglia all’interno del patto città-campagna. Attraverso il PPTR, piano per il processo di riqualificazione ambientale, il territorio regionale è stato suddiviso in diverse macroaree da sottoporre ad alcuni strumenti progettuali specifici, in particolare: campagna del ristretto, parchi agricoli multifunzionali, parco CO2, campagna urbanizzata, campagna abitata, parco naturale costiero e parco agro ambientale costiero. Il paesaggio rurale finora considerato omogeneo attraverso questa analisi ambientale diventa un territorio complesso eterogeneo che necessita di strategie di intervento diverse. Il parco agricolo così come precedentemente descritto viene a sua volta catalogato in multifunzionale di riqualificazione e multifunzionale di valorizzazione ed assume estensioni territoriali notevoli fino ad occupare un venticinque percento delle aree dell’intera regione. La sua definizione risulta una delle più complete date sino ad oggi : “il parco agricolo multifunzionale è la proposta di territori periurbani più vasti del ‘ristretto’ che mostrano una condivisione di intenti, a volte solo di progetto, a volte invece sociale perché insorge dal basso, per i modi in cui è condivisa dai suoi abitanti. I parchi agricoli sono territori agro-urbani o agro-ambientali che propongono forme di agricoltura di prossimità che produce, oltre ad agricoltura di qualità, salvaguardia idrogeologica, qualità del paesaggio, complessità ecologica e chiusura locale dei cicli, fruibilità dello spazio rurale, valorizzazione dell’edilizia rurale diffusa e monumentale, attivazione di sistemi economici locali; il parco agricolo è portatore di nuovi valori ecologici, sociali, culturali e simbolici”.
L’interesse per questo tema ha fatto nascere una complessità di interpretazioni e variazioni del modello del parco agricolo dipendenti dalle modalità di genesi e dalle dimensioni territoriali a cui si riferisce. Ad oggi definire un modello unico di parco risulta quanto mai inappropriato così come risulta inappropriato definirne un modello progettuale tipo; la diversificazione della gestione, i diversi modelli relazionali cittadino-contadino, bambino-natura, malato-natura, consumatore responsabile e le peculiarità dei sistemi economici locali garantiscono un processo di sviluppo autoctono come singolare espressione di una metamorfosi culturale e sociale.
All’interno di questo scenario culturale ricerchiamo diverse visioni progettuali per il parco agricolo urbano. In questi territori dove “nulla è più città e nulla è più campagna” si tentano nuove soluzioni di riequilibrio ambientale attraverso l’agricoltura come “cura e coltura” del territorio. 

Nuove strategie per la tutela della biodiversità natural/sociale per la cura delle amnesie urbane

L’idea nasce dall’evoluzione dello spazio urbano che, negli ultimi anni, sta ibridandosi in una realtà “pubblico|privato”; a livello nazionale si sta assistendo ad un cambiamento di strategia di governo e di gestione del territorio, che si adopera per merito della volontà collettiva o privata di gestione condivisa e socialmente utile del patrimonio collettivo. Gli ultimi dati sul monitoraggio di questo cambiamento registrano un incremento dell’attivazione di questi procedimenti di “cura urbana”. Molte città del nostro paese, presentano gravi e drammatici problemi, basti pensare alla scarsa qualità dell’aria, al pessimo trasporto pubblico e privato, alla forte dispersione della risorsa idrica, ai rifiuti, al continuo consumo di suolo, alla cattiva gestione del patrimonio arboreo e naturale. Mentre in Europa, da qualche tempo, il verde rappresenta una delle leve strategiche per la qualità della vita nelle aree urbane, nel nostro paese esso assume un ruolo marginale per la qualità della vita dei cittadini.
Numerose sono le funzioni della “forestazione urbana”, da quella ecologica, ambientale a quella igienico – sanitaria e protettiva, da quella sociale e ricreativa, a quella culturale e didattica e non da ultima, quella economica…”(tratto da http://www.salviamoilpaesaggio.it)

Partendo dall’osservazione e messa in atto delle strategie di innovazione di gestione del paesaggio urbano lo studio vuole offrire la propria esperienza per la costituzione di un tavolo di lavoro per una progettualità condivisa di adozione collettiva di spazi abbandonati. Tale progetto parte dall’identificazione di territori urbani abbandonati che sono ritenuti strategici per l’aggregazione sociale di più gruppi di persone di diverse età e di diversi interessi.

CONTAMINazione

significa diffusione incontrollata di sostanze chimiche e contemporaneamente fusione di generi e stili diversi.
E’ questa una delle poche parole che trattiene il potenziale negativo e positivo della cultura contemporanea.
E’ questa la realtà dell’uomo contemporaneo : ESSERE CONTAMINATO. BISOGNA IMPARARE A VIVERE E SOPPRAVVIRE LO STATO FISICO, CHIMICO E MENTALE DELLA CONTAMINAZIONE.
CONTAMINAZIONE MENTALE
“Sì, la contaminazione (ovvero l’incrocio, lo scambio, il métissage) è, sempre, il risultato dell’incontro tra culture e/o tra forme culturali, anche dentro una stessa identità antropologico-culturale.(….)Ed è anche un criterio che ci appare, ormai, irreversibile. Ma, proprio perché tale, da coltivare, approfondire, diffondere nella coscienza dell’«uomo planetario».”
Cit. Formarsi alla/nella contaminazione, Franco Cambi

E’ QUESTA E’ LA DECLINAZIONE DEL PRESENTE UMANO, DELLE SUE RETI, DELLE SUE RELAZIONI, DI CIO’ CHE LO CIRCONDA. L’ARTE DIVENTA MATERIA CHE CONTAMINA LO SPAZIO FISICO COME MICRORGANISMO AMORFO.

MEMENTO

Al bianco si contrappone il nero, e subito penso ai ricordi scoloriti della memoria, a quegli oggetti cari che ci appartengono ma che rimangono dimenticati chissà dove…Il bianco trattiene i colori, il nero le ombre, positivo e negativo si fondono…
Memento… è una parola latina, significa letteralmente “ricordati”, imperativo futuro, in inglese indica comunemente qualsiasi oggetto utilizzato per ricordarsi di qualcosa.. abbiamo sempre bisogno di qualcosa che ci ricordi cosa? … che forse l’evoluzione non è nella produzione ma nella trasformazione di qualcosa in qualcos’altro… è la legge della natura.. “nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si conserva” la frase è di Antoine Lavoisier già del 1700..

Ecco cosa è Memento … il ricordo che apparteniamo ad un sistema naturale che va rispettato secondo i suoi principi: “viviamo all’interno di un sistema chiuso, in una reazione chimica la massa dei reagenti è esattamente uguale alla massa dei prodotti, anche se appare in diverse forme”

CULTURA FLUIDA

La realtà non è mai come la si vede: la verità è soprattutto immaginazione René Magritte e allora è forse il momento in cui la dimensione intermittente di un tempo che sembra essere ripartito a stento diventa il presupposto che da spazio all’immaginazione.Solo un paio di anni fa nasceva la nostra spin-off Cultural Cloud una società pensata per connettere culture differenti in diversi poli museali internazionali. Eravamo abituati da più di 10 anni a gestire grandi eventi tra Shanghai, Los Angeles, Milano, Roma. Poi ….venne il silenzio. In un solo mese ci annullarono tutti gli eventi dell’anno. La chiusura ha rappresentato per noi un momento di crisi evolutiva… da casa abbiamo iniziato a sperimentare progetti multimediali olografici con la prototipazione di stanze immersive connesse in remoto e gestite attraverso la rete. Ci siamo resi conto che in questa nuova dimensione digitale potevamo generare nuove connessioni tra le realtà internazionali e quei Borghi della nostra terra che oggi sembrano a tratti scomparire. Purtroppo l’Abruzzo ha il più alto tasso italiano di depopolazione e questo fattore è divenuto il presupposto di chiusura di molti luoghi e servizi pubblici periferici. Forse, tornando indietro nella mia memoria, è proprio la chiusura dell’unico centro culturale della mia città che non ho mai accettato. E da quel momento non ho mai abbandonato la mia profonda convinzione dell’importanza del mio folle pensiero di rivedere riaprire quei luoghi ancora chiusi e abbandonati. Allora, come studio resiliente, ci siamo sentiti in dovere di prefigurare una nuova dimensione di cultura fluida che possa connettere, attraverso la rete, le realtà satelliti, ai poli attrattori per eccellenza. In questo anno, grazie ad una rete di partnership, con studi di Roma e Dubai, abbiamo iniziato a coinvolgere i musei più importanti affinché possano diventare i nuovi partner per una cultura diffusa sul nostro territorio e allora per dirla come Magritte : “i sogni non vogliono farvi dormire, al contrario, vogliono svegliare”. Nel nostro sogno la cultura internazionale adotterà tante stanze culturali periferiche, oggi abbandonate, affinchè possano ospitare quotidianamente episodi multimediali per coinvolgere le nuove generazioni e innescare nuovi percorsi turistici. Un po’ come citazione della nostra storia di transumanza… immaginiamo di riiniziare a percorrere luoghi e sentieri per scoprire nuove culture contemporanee. Così, da Parigi, si potrà vedere l’anteprima di un vernissage trasmesso in tempo reale in dei borghi come fosse un “fuori salone multimediale”. Per fare questo però abbiamo bisogno di nuove menti che vogliono riconnettere la propria terra al futuro vivendone la bellezza nella sua fragilità. Abbiamo bisogno di voi, figure altamente specializzate, ma capaci di investire in un sogno. Perché, come dice il nostro motto: “le idee hanno la stessa forma delle nuvole” e pertanto devono essere disposte a mutare per adattarsi ai cambiamenti costanti. La nostra terra potrà essere la più bella delle terre perché siamo i custodi della Natura, dei paesaggi e delle tradizioni, e, oggi che possiamo lavorare in Smart Working riusciamo a rimanere qui per reinventarci un nuovo modello di vita in armonia. Abbiamo bisogno però di infrastrutturare luoghi e formare risorse umane differenti per iniziare a creare nuovi lavori e nuove visioni per ognuno di essi. Ogni Borgo possiamo immaginarlo come laboratorio in cui il benessere ambientale si integra a nuovi modi di vivere e lavorare. E allora un giorno, in un luogo non molto lontano, ci sarà un laboratorio delle nuvole, in cui come dalle tele di Magritte le nuvole attraverseranno le case. In questo luogo dell’immaginifico le si collezionano, tutti si vestono di bianco e si trascorre il tempo assaporandole o dormendo su di esse. Da sempre, solo L’arte può aiutarci a vedere oltre il futuro. Per ogni borgo potremmo immaginare infinite esperienze, generare storie diverse, rivivere tradizioni estinte ed esplorare luoghi fantastici.  Allora al paesaggio dobbiamo sapere aggiungere la cultura che non può essere divulgata con i sistemi “standard” perché gli stessi non ci permetterebbero di gestire contenuti rigenerabili e dinamici. In questa visione di cultura glocale, c’è anche la possibilità di pensare ad un flusso inverso di queste stanze diventando così dei portali di scambio continui dove connettere luoghi per “scaricare o caricare” contenuti a tema. Nell’era del sociale digitale abbiamo la necessità di tornare a condividere la cultura perché è solo attraverso l’arte che possiamo continuare ad immaginare la giusta visione dei nostri luoghi e della nostra terra.

Citazione Isplora
RE-Habitare

Re-Habitare, re-habitare il pianeta, come percorso di ricerca e di cambiamento, un modus operandi e un approccio trasversale al progetto, lavorando sul rapporto tra uomo e natura, nella comprensione e nella rilettura del paesaggio alle diverse scale, trascendendo i confini dell’architettura in senso stretto ed intendendola come cura.

Un itinerario, quello proposto dallo studio Archquadro, che mette in tensione una riflessione ampia e complessa sulla nostra terra, sull’ecosistema. Un’architettura che si muove con premura e consapevolezza nello spazio sotteso tra uomo e natura, attenta al proprio impatto, significato e ruolo sul territorio.

Ancora, un’architettura sensibile rivolta alla cura delle amnesie urbane dei contesti quotidiani. Una sintesi progettuale che trova il suo campo di applicazione sulle terre resilienti, sui luoghi dell’abbandono, attraverso la tutela e la valorizzazione della biodiversità.

Tempo e biodiversità come elementi imprescindibili, contrastando la produzione intensiva e riconsiderando i parametri della progettazione alle diverse scale. Tecnologia come strumento necessario per accompagnare e strutturare il progetto, sia nella fase di analisi che in quella costruttiva.

Un’attenzione alla materia, al materiale e al suo tempo di vita, per un uso più consapevole. L’osservazione e l’identificazione dell’architettura “geneticamente modificata”, per una ricerca approfondito sulla nanotecnologia dei materiali e sulla loro durata nel tempo.

Un percorso che parte dai luoghi e dalla memoria per proporre il recupero e la rinaturalizzazione, interventi critici e soppesati, progetti evolutivi e crossing architecture.

Sperimentazione e innovazione: l’utilizzo di nuovi strumenti quali la realtà virtuale e aumentata, il BIM e l’olografia, l’innesto come pratica architettonica, ascoltando le diverse istanze e ripensando il futuro.

Rispetto e comprensione del luogo, per la ricerca di una qualità architettonica da reintrodurre nella dimensione del quotidiano. Premura e attenzione alla registrazione dei fenomeni sociali, delle azioni e delle dimensioni dell’umano, per un’architettura capace di inserirsi e re-habitare il territorio.

“Architetture bianche”

Architetture bianche, che parlano il sapiente linguaggio della cultura mediterranea, il colore delle città del mare, eredi dell’antico sapere delle genti che sapevano ascoltare le leggi naturali del vivere secondo il sapiente uso dei materiali.

Bianco come le città della letteratura italiana, legno come la materia che ci lega alle architetture tipiche del nostro territorio (trabocco). L’essenza materica si confonde con lo spazio etereo di ambienti sospesi in una luce cromatica che confonde le superfici così come il mare si perde nel cielo.

La storia e la contemporaneità si fondono attraverso una gamma cromatica di sfumature di bianco che tratteggiano l’ispirazione alla cultura letteraria del nostro novecento.

La luce insegue le linee fragili, interrotte dalle ombre, e rappresenta l’unico colore sedimentato sulla materia arsa; l’involucro reinterpreta l’impasto grezzo delle case mediterranee che, nella loro semplicità, sono ricche di una bellezza ancestrale. Nelle decorazioni murali intrecci di pura lana diventano citazioni della materia soffice dei pascoli abruzzesi di D’Annunzio e Michetti.

Era fine Ottocento o inizi del Novecento quando i primi bagnanti villeggiavano sul mare per respirare l’intensa aria di sole e sale. E’ da questi anni che il paesaggio del mare si è legato alle “MILLE RIGHE” in tutti i suoi colori negli abiti delle donne, nelle piccole architetture da spiaggia, negli arredi marini. Le stanze reinterpretano in forma retrò le prime architetture “chiuse” dal mare e i primi motivi rigati che hanno rappresentato le mode e i paesaggi delle più famose coste italiane dell’età D’Annunziana.

“Forse tu, pace delle città bianche fai parte dei miraggi della vita”, la città ideale.
(tratto da Le città invisibili di Calvino).

“Architettura Scomposta”, visioni quotidiane per contesti urbani incoerenti

Il punto di partenza dell’origine dell’involucro abitativo sono tre punti, una circonferenza, un piano nello spazio vuoto.
Da qui la materia, come conseguenza evolutiva dell’incompletezza dei nostri contesti urbani di periferia, nega se stessa e diventa “forma scomposta, senza sentirsi mai fuori posto”.
Insediata in un quartiere di edilizia economica e popolare, la villa unifamiliare, sprofonda e si innesta nel terreno in un rapporto intimo, preservando, nella zona più interna, le sue sembianze narcisiste di un’architettura che guarda se stessa.

E’ questo il paradigma della società dell’immagine che alimenta lo stato fisico delle cose rimanendo intrappolata nella sua stessa immagine. In un contesto sociale, come sostiene S.Mancuso, in cui “quando la bellezza non t’interessa più, allora perdi anche il rispetto per ciò che ti circonda” paradossalmente l’architettura diventa decontestualizzata.
Il nostro progetto inizia un processo di rigenerazione dei luoghi alla ricerca di una visione in cui solo attraverso “l’innesto urbano” possiamo alterare i processi evolutivi dei nostri “non- contesti”.

“Per tre punti non allineati passa una e una sola circonferenza e uno e un solo piano”
Euclide

“Se un sistema assiomatico può dimostrare la sua stessa coerenza, allora deve essere incoerente.”
Teorema dell’Incompletezza di Godel

“Senza sentirsi mai fuori posto, perché tutto era già fuori posto”
Valerio Callieri, teorema dell’incompletezza

Convegno Premiazione concorso “la Città vista con gli occhi dei ragazzi” promosso da Lion Club, Pinacoteca Palazzo D’Avalos, 27 maggio 2009 intervento in merito alle “città sostenibili”.
Città “in scadenza”- un nuovo possibile scenario per il futuro/

La città è il luogo dell’eterno cambiamento e dell’eterna conservazione.
Nella contemporaneità tutto si sedimenta momentaneamente; è questa la generazione che vedrà cambiare il volto di interi quartieri in cui è cresciuta.

Le nostre città moderne riflettono la condizione di transitorietà, di fragilità, di permutabilità costante che il pensiero Futurista idealizzava nel Manifesto del 1914: “Ogni generazione dovrà fabbricarsi la sua città”. Questa visione dell’architetto visionario Sant’Elia si è rilevata a distanza di 80 anni una profezia esatta per un’ inaspettata realtà legata al deterioramento del cemento armato; questo materiale,nato per durare in eterno, si è rilevato materiale fragile ed inconsistente dopo solo ottanta anni di vita utile. La materia dell’architettura, dunque, nasce malata: tutte le grandi opere, le più grandi costruzioni di oggi possono considerarsi comunque temporanee .
Lo stato di crisi, legato “all’inesistenza della storia” del presente e del futuro, può però diventare presupposto positivo se ci porta ad un nuovo modo di concepire la casa e la città; bisogna essere consapevoli che, solo il patrimonio immobiliare, emette circa il 58% dell’anidride carbonica e che, stiamo compromettendo, soprattutto con le nostre città, gli equilibri naturali ed ambientali.
Nasce pertanto la necessità di riprogettare il patrimonio degradato attraverso nuove soluzioni che ci portano verso una città totalmente autosufficiente, connessa con infrastrutture a mobilità sostenibile, alimentata da energie rinnovabili, ricca di parchi ed orti urbani per ristabilire il rapporto tra uomo e natura, pensata con opere idrauliche per il riciclo delle acque ed infine costruita con materiali riciclati ed ecosostenibili. Lo stesso concetto è applicabile anche alle case .

La crisi ambientale in atto,dunque, deve diventare il presupposto per un processo di rinnovamento verso uno “sviluppo sostenibile che soddisfa i bisogni del presente senza compromettere la possibilità delle generazioni future di soddisfare i propri bisogni”. Rapporto Brundtland (Our Common Future),1987 .

Architettura “da consumarsi preferibilmente entro il”

La città è il luogo dell’eterno cambiamento e dell’eterna conservazione. Nella contemporaneità tutto si genera e si sedimenta momentaneamente. E’ questa la generazione che vedrà cambiare il volto delle città in cui è cresciuto.

Le nostre città moderne riflettono la condizione di transitorietà, di temporaneità, di fragilità, di permutabilità costante che lo stesso movimento futurista idealizzava nel manifesto del 1914: “Ogni generazione dovrà fabbricarsi la sua città”. Questa profezia dell’architetto visionario Sant’Elia si è rilevata a distanza di 80 anni esatta per una inaspettata realtà legata al deterioramento del cemento armato; questo materiale era nato per durare in eterno, al contrario la vita massima dei primi calcestruzzi armati è di ottanta anni quasi come l’età media di un uomo. La crisi che potrebbe destare il pensiero di veder scomparire gran parte degli edifici delle nostre città deve diventare un momento di completo rinnovamento delle modalità costruttive.

A questo si riferiscono le immagini di interi quartieri post Expò costruiti nel 2000 ad Hannover in Germania che solo dopo 2 anni sono diventati quartieri fatiscenti . L’architettura vive uno stato di crisi rimanendo congelata nel vuoto del presente e già sta scomparendo.

La ricerca intrapresa ci ha portato ha rilevare che la materia dell’architettura nasce malata . Tutte le grandi opere, le più grandi costruzioni di oggi , domani non ci saranno più. Tutto ciò che vediamo è solo una quinta scenica, un palco che a breve sarà smontato.

Noi , uomini senza storia.

Estratto da “pubblicazione GIOVANI ARCHITETTI ITALIANI”- Utet Scienze e Tecniche, 2012
TEORIA DELL’INNESTO

L’agricoltura oggi è applicata come terapia ai maggiori sistemi in crisi:
inquinamento ambientale, malessere sociale, crisi economica, sono oggi risolti attraverso un processo di rinaturalizzazione dei luoghi.
Nasce l’idea di osservare come si tutelano specie in via di estinzione e come si evolvono le specie vegetali in agricoltura: L’INNESTO, pratica colturale arcaica, è sinonimo di mutazione, fusione, evoluzione e sopravvivenza.
La nostra generazione è cresciuta per emulare le archistar ma i dati generazionali sono cambiati : la crisi ambientale, economica e sociale sta cambiando il pensiero di cosa significa sviluppo e progresso. Nasce l’idea di decrescita controllata, il suolo diventa patrimonio dell’ unesco, i cantieri si riducono del 50%.
L’architettura per sopravvivere deve immaginare una nuova dimensione, partendo dall’alterazione dello stato esistente.
Il nostro studio cerca di alterare lo stato delle cose innestando forme diverse, materiali e funzioni per ottenere un prodotto “altro” dalle proprietà multiple.
La sperimentazione della teoria dell’innesto è qui applicata ancora in maniera low tech; ma crediamo che, nei prossimi anni si assisterà ad una trasformazione di tipo high tech. La prossima rivoluzione avverrà per mezzo degli “innesti del XXI secolo” ossia la nanotecnologia; l’architetto del materiale sarà una nuova figura dalla specializzazione in chimica architettonica. Il progetto inizierà dal materiale è sarà evolutivo nel tempo, il cambiamento di fase diventerà parte integrante della mutazione di forma. Crediamo che, come tutti gli oggetti tecnologici, le architetture tenteranno di essere “smart” piccole, leggere, mobili, autosufficienti ed intelligenti.

Estratto da MOSTRA EST(ETICA) del FAIR TRADE presso la XXIII Fiera Nazionale del Commercio Equo e Solidale, Fiera del Salento, Galatina (LE), 2007.
Start

Mondo-Equo” è un progetto che nasce per far pensare, per criticare, per contraddire.

Un’ immagine in deframmentazione ispirata ai controsensi degli spazi di confine, luogo emarginato, spazio di nessuno; inesistente ma che appartiene ad ognuno di noi.

La sua forma come fosse materia organica, metabolizzando spazi vuoti, si modifica, si accresce e poi scompare.

E’ uno spazio della precariètà e in esso tutto ha senso in quanto temporanea manifestazione.

La sua materia è scarto, oggetti che nessuno vuole, composti e assemblati ad arte diventano l’involucro di un contenitore icona di un mondo del paradosso.

Gli spazi di lavoro, il benessere e le città interconnesse: come cambieranno luoghi di lavoro delle città del futuro? _Congresso Next CNA 2018

L’evoluzione degli spazi di lavoro passa attraverso un sistema di ibridazioni delle funzioni. Avremo sempre più ambienti flessibili, trasformabili e smart. I grandi complessi di innovazione come i distretti tecnologici saranno concepiti come micro-città integrate con spazi benessere dove palestre, percorsi a mobilità lenta e sistemi bla-bla car elettrici appartengono ad un’intero gruppo di soggetti e sono gestiti da app; pertanto si parla di mobilità e spazi benessere condivisi tra i lavoratori e le famiglie dei lavoratori; In questi spazi sono inoltre integrate delle play room, dei laboratori di ricerca per bambini e delle scuole sperimentali; interi piani sono dedicati ad accademy di formazione interne all’azienda, spazi ristoro e bar diventano dei luoghi di alto scambio di informazioni per condividere piacevolmente idee e sviluppare nuove strategie. A questi ambienti si inseriscono delle postazioni di co-worker organizzate da un sistema di tutoraggio e coach che individuano nuove idee, start-up ed eventuali business angel per lanciare nuove imprese.
Già da sei anni abbiamo sviluppato per Wind degli spazi interattivi in cui la rete diventa modo per interagire con lo spazio e lavorare. La nostra idea sviluppata era legata ad un modello di business che crede che il lavoro svolto all’interno di un ambiente concepito con parametri di benessere ambientale e visivo oltre che smart aumenti la produttività notevolmente. Abbiamo studiato dispositivi cromoterapici gestibili da smartphone che, a sua volta, erano trasformabili in proiettori da lavoro per conferenze o video conferenze aziendali. Lo stesso spazio pertanto poteva declinarsi ad n soluzioni di lavoro necessari per la gestione degli ambienti multi-activities.

Nel futuro si passerà dal concetto di benessere ambientale che diventerà un aspetto già propedeutico alla progettazione, ad un benessere psico-fisico degli ambienti. Oggi siamo ancora nella prima fase del modello mentre l’evoluzione ci sarà quando l’attenzione del benessere si sposterà dal materiale sostenibile all’ambiente che genera benessere, ma non dal punto di vista termico ect.. ma emozionale. Per aumentare la qualità della propria vita bisogna studiare gli effetti che l’architettura ha sull’uomo e questi studi sono simili a quelli che nella storia sono stati alla base della progettazione armonica degli ambienti. La nostra epoca ha tanto da fare,in un secolo in cui il cambiamento costante è il presupposto quotidiano del vivere; La crisi economica, ambientale, il degrado urbano e sociale pone i presupposti per inventare nuovi modi di essere, definiti come società fluida tutto quello che ci appartiene è un modello temporaneo dello stare nei luoghi, e come abitanti del pianeta la nostra condizione lavorativa diventa nomade per scelta globale. Personalmente credo più nei modelli glocali che in quelli globali pertanto lavoriamo per esportare l’Italia in ambiti internazionali attraverso un modello che tra origine da valori e contenuti locali avendo come sede operativa uno studio “locale” ma attraverso la rete lavoriamo a Shanghai, Pechino come in tutta Italia.

Think global, act local“, sintesi tra il pensiero globale, che tiene conto delle dinamiche planetarie di interrelazione tra i popoli, le loro culture ed i loro mercati e l’agire locale, che tiene conto delle peculiarità e delle particolarità storiche dell’ambito in cui si vuole operare.
Bauman

“L’immaginazione non è il talento di alcuni uomini ma il benessere di ogni uomo”
Emerson

Diario quotidiano

Lavoriamo in Cina con we-chat e abbiamo delle conference skype per dei workshop italiani quasi ogni ora, Dante lavora nella realtà virtuale per controllare i dettagli progettuali, mamma coltiva l’orto idroponico urbano realizzato sulla facciata dell’ingresso, pranziamo in un laboratorio materico, beviamo solo acqua in vetro anche se vorrei bere acqua distillata dal cielo, mio figlio gioca nella play room accanto e stampa i suoi giochi in amido di mais biodegradabile, ho adottato una pecora della Maiella e sto decorando gli spazi con lana tinta con bacche di ribes, la mia app mi dice che la mia coltivazione di bambù ha prodotto 0,10kg di ossigeno, regalo alghe marine e tillandsie per il benessere dell’aria e dell’acqua, tra sei mesi apriremo un’Accademy per la progettazione con sistemi 4.0 e tra tre mesi sarà visibile una piattaforma dedicata al re-use degli spazi. Mi piace mangiare la portulaca con semi ed erbe incolte dei campi; da circa un anno stiamo progettando il primo distretto di design diffuso in Abruzzo dove lavorare è un’esperienza di vita di qualità in cui si progettiamo idee per città internazionali come Shanghai e Pechino; da poco abbiamo allestito la prima postazione di co-working e cerchiamo ingegneri o programmatori per condividere nuove relazioni lavorative; infine, da questo anno, con la nostra l’associazione, abbiamo deciso di occuparci di urban maketing per cercare di riqualificare i vuoti e parchi urbani; stiamo sviluppando la mappatura dei corridoi ecologici ed un primo prototipo di dispositivo urbano per la tutela della biodiversità.

Parlare di sostenibilità e domotica o smart house nel nostro studio è un concetto già superato, da dieci anni che i nostri progetti sono conformi alle norme Europee di edifici autosufficienti, l’acqua della pioggia viene raccolta e conservata in un serbatoio sotteraneo, poi depurata e riutilizzata per l’irrigazione e le cassette di scarico, il sole alimenta totalmente l’edificio, i parcheggi sono predisposti per la ricarica elettrica, i consumi e la produzione di energia è monitorata da app; le scenografie luminose, le serrande, l’antifurto e tutti i dispositivi sono gestiti in controllo remoto dallo smartphone. Ora stiamo sperimentando il sistema google assistant e stiamo pensando edifici senza più accenzioni ma gestiti solo con la propria voce in wifi….dall’auto il piccolo Lorenzo a cinque anni si diverte a chiamare “ok google, accendi la luce ed il riscaldamento” perché stiamo tornando a casa.

Brano estratto da
Progettare Nuove Centralità, Progetti della Facoltà di Architettura G.D’Annunzio, sala Editori, settembre 2010.
ECO_ EQUO MERCATI i nuovi circuiti di distribuzione

Le recenti ricerche economiche sui cambiamenti dei modelli di consumo in Europa ed in Italia evidenziano un’evoluzione nel comportamento dei consumatori: da un acquisto basato solo sulla ricerca del prezzo più basso ad una modalità di acquisto più riflessivo, dove la qualità del prodotto e le tecniche impiegate per la produzione assumono un ruolo predominante nella scelta dell’acquirente. L’analisi economica osserva che, negli ultimi anni, il concetto di qualità del prodotto ha assunto caratteristiche diverse non più riconducibili solo a codici quali DOC, DOP e similari, ma si esprime attraverso il contatto diretto con il mondo della produzione, tramite un controllo e una conoscenza diretta delle metodologie di produzione.
Tale esigenza si è tradotta in un nuovo modello di produzione e distribuzione in fase di sviluppo denominato Short Supply Chain o circuito breve. Le espressioni commerciali più sviluppate del sistema filiera corta sono i Farmer’s Markets definibili micro-punti commerciali in città in cui i contadini vendono direttamente al consumatore; a seguire c’è la formula Pick Your Own: spazio commerciale rurale in cui il consumatore fa la spesa direttamente nell’orto delle aziende agricole raccogliendo personalmente dal terreno il frutto che si intende acquistare per garantirsi un cibo sicuro, di qualità ma anche economicamente vantaggioso in quanto vengono eliminati i costi di raccolta, di trasporto e degli intermediari commerciali.
Questi nuovi circuiti commerciali di economie locali hanno registrato dal 2001 una crescita del 48%. li forte sviluppo delle filiere corte sta generando la necessità di ripensare i luoghi dello scambio contemporanei, passando dalla dimensione degli shopping mall ad una rete locale di produzione-distribuzione.
Dietro tale mutamento dei modi di consumo si manifesta anche la nuova attenzione alla sostenibilità ambientale del prodotto: è stato dimostrato che consumando prodotti locali e di stagione una famiglia può arrivare a diminuire fino a 1000 kg di anidride carbonica per anno; nasce pertanto l’espressione Food Miles che definisce l’impatto ambientale di un prodotto, attraverso un modello di calcolo che mette a sistema le modalità di produzione e di trasporto con le emissioni nocive immesse nell’ambiente.
In Italia un’analoga attenzione alla sostenibilità ambientale dei cibi viene classificata dall’espressione Km O che raggruppa la produzione locale senza impatto ambientale rispetto al resto dei prodotti.
L’economia rurale locale oggi deve essere considerata non solo come sistema di produzione, ma anche come nuovo sistema di distribuzione capillare locale. Risulta interessante la collocazione di una rete di produzione-distribuzione all’interno di aree periurbane, che conservano ancora quelle tracce di ruralità, per la possibile creazione di un sistema diretto di produzione-distribuzione ad una distanza accettabile per un consumo quotidiano dei prodotti agricoli.
In questo quadro, le aree lungofiume, spesso collocate all’interno del tessuto urbano, risultano aree estremamente interessanti per la creazione di un sistema di filiera corta di tipo agglomerato o meglio di un distretto agricolo di produzione-lavorazione-distribuzione.
Ad oggi, la parola ‘distretto’ è usata solo in ambito industriale e rappresenta una configurazione organizzativa ottimale che mette a sistema una pluralità di aziende localizzate in un’area circoscritta, tra le quali vi è collaborazione, possibilità di acquistare prodotti intermedi da altre imprese e condividere comuni attrezzature; applicando la stessa logica economica ad un sistema di aziende agricole specializzate sulla lavorazione e produzione di diversi prodotti agricoli si genererebbe una nuova possibile strategia territoriale di commercializzazione di diversi prodotti locali a vantaggio di una maggiore varietà nelle tipologie di coltura. Questo sistema di rete commerciale locale diffusa all’interno dell’ipotesi di un parco fluviale agricolo risulterebbe essere di notevole importanza. Sempre all’interno di tale ambito territoriale potrebbe svilupparsi il settore florovivaistico, dalla coltivazione alla commercializzazione del fiore, al fine di rafforzare l’identità culturale della Mostra de/Fiore di Francavilla al Mare, attraverso l’uso di prodotti autoctoni e sostenibili per una cultura del fiore a Km zero. Un altro aspetto economico da non sottovalutare per uno sviluppo ambientale compatibile con un concetto di consumo etico riguarda la nascita e la crescita dei G.A.S.: i Gruppi di Acquisto Solidali. Questa forma di commercio alternativo ti nata circa 15 anni fa ed oggi coinvolge un numero di circa 100.000 persone: i G.A.S. sono stati riconosciuti da un emendamento del 5 novembre 2007 e vengono definiti come “soggetti associativi senza scopo di lucro costituiti al fine di svolgere attività di acquisto collettivo di beni e distribuzione dei medesimi, senza applicazione di alcun ricarico esclusivamente agli aderenti, con finalità etiche, di solidarietà sociale e di sostenibilità ambientale”.
Attualmente oltre alle micro unità G.A.S. composte da almeno dieci famiglie, sono in fase di sperimentazione i cosiddetti Distretti di Economia Solidale, che rappresentano una nuova forma di organizzazione territoriale capace di attivare un processo politico e culturale che mira a rendere gradualmente solidali intere filiere di produzione, laboratori pilota locali in cui si sperimentano forme di collaborazione e di sinergia per un modello economico che pratica modalità opposte a quello dominante.
L’attivazione dei D.E.S. può quindi rappresentare per tutti i territori un’occasione importante, in cui gli obbiettivi della rete delle economie solidali e quelle degli enti locali si incontrano e si rafforzano reciprocamente nella sperimentazione e diffusione delle pratiche di sviluppo socio-economico autosostenibile. Possono far parte dei distretti: le imprese dell’economia solidale e la loro reti, i consumatori dei prodotti e servizi dell’economia solidale, i risparmiatori-finanziatori delle imprese e delle iniziative dell’economia solidale, i lavoratori dell’economia solidale, gli enti locali che intendono favorire sul proprio territorio la nascita e lo sviluppo di esperienze di economia solidale, le associazioni o i Centri di Ricerca che si occupano del tema.
La creazione dei distretti presuppone che i valori dell’economia solidale orientino le attività del territorio e influiscano sulle politiche pubbliche guidandole verso scelte basate su nuovi indicatori di benessere: qualità territoriale e ambientale, qualità dei consumi e degli stili di vita, solidarietà e inclusione sociale, identità e integrazione multiculturale, partecipazione, etc. L’attivazione di filiere locali, basate sui principi dell’economia solidale e sostenibile, potrebbe indirizzare le politiche pubbliche verso una nuova concezione dello sviluppo economico e sociale, attraverso la promozione di forme di azionariato sociale e di gestione partecipata del patrimonio ambientale e dei servizi, la costruzione di reti di microcredito legate a progetti locali, la promozione dell’agricoltura di qualità come attività capace di produrre beni collettivi: forme di produzione atte sia alla manutenzione che alla costruzione del paesaggio, sia alla valorizzazione che alla  conservazione della complessità ecologica; presidio del territorio, gestione delle acque superficiali e salvaguardia dai dissesti idrogeologici.

La valenza sperimentale delle nuove forme di commercio presuppone pertanto anche la sperimentazione di nuove forme di marketing mix, che ben si differenziano dalla catena del valore distributivo legato alla globalizzazione. La metamorfosi culturale delle forme di scambio si traduce nella rivalutazione delle aree residuali e delle frange rurali di periferia che diventano i nuovi luoghi di convergenza dove poter sviluppare un nuovo sistema di commercio urbano compatibile con una crescita sostenibile.

L’Hotel che parla d’Abruzzo

“Scegliamo i nostri clienti con l’obiettivo di condividere una mission importante: tutelare la nostra terra”. Chi parla è l’architetto Laura Crognale, co-founder insieme al collega Dante Antonucci dello studio Archquadro Associati, e la terra a cui accenna è l’Abruzzo. Qui, infatti, a Lanciano, “una piccola città periferica” – per usare le parole della progettista – i due architetti hanno avviato la loro attività a partire dal 2014, attirando l’attenzione del mondo del progetto, sia in ambito nazionale che internazionale. In particolare, la coppia di giovani progettisti si è subito distinta per la sensibilità con cui ha trasferito nei suoi lavori il ‘genius loci’ abruzzese: dalla biodiversità del territorio alla tradizione artigianale, dalla bellezza naturalistica del paesaggio alla sua ricchezza culturale.
“L’architettura può fare la differenza per scoprire (e riqualificare) luoghi dimenticati ma resilienti” fa eco l’architetto Dante Antonucci, come dimostra un recente lavoro del giovane team abruzzese: il restyling di una struttura alberghiera degli anni ’60 sul litorale di San Vito, a una manciata di chilometri da Chieti.
“È stato un lavoro non semplice” ricorda sempre Antonucci “sia per lo stato di abbandono in cui versava l’edificio, sia per la difficoltà di intervenire a livello strutturale”. Così, se il progetto non ha potuto modificare volume e layout originali, ne ha invece rivoluzionato il ‘look’, giocando su finiture e scelte d’interiors ispirate alle tradizioni paesaggistiche, artigianali e culturali del territorio abruzzese.
A cominciare dal nome scelto per l’hotel – La Chiave dei Trabocchi – che ricorda i ‘trabocchi’, e cioè le storiche ‘macchine da pesca’, che punteggiano il litorale abruzzese come delle palafitte sospese sul mare.
E, poi, i colori, la luce, il mare, che entrano come protagonisti nelle 49 stanze della nuova struttura alberghiera. Complici anche i versi di un grande poeta, come spiegano i progettisti: “Pochi sanno che proprio qui, a due passi dall’hotel, soggiornò Gabriele D’Annunzio. E noi abbiamo voluto ricordarlo con le sue poesie, che campeggiano sulle pareti delle stanze e che parlano di questo luogo”. A San Vito, infatti, D’Annunzio trascorse l’intera estate del 1899 in una piccola casa rurale a picco sul mare, e subito s’innamorò di quell’oasi di pace, fuori dal tempo, che celebrò nelle sue opere.
Ma il paesaggio abruzzese viene anche rievocato a partire dalle sue tradizioni artigianali, come per esempio la lavorazione della lana. A sorpresa, gomitoli grezzi e fili intrecciati di lana decorano gli interni dell’hotel: ne rinnovano i vecchi lampadari, disegnano la testata dei letti, danno matericità ai quadri, ‘riscaldano’ la sala-breakfast.
Non poteva mancare un accenno agli storici stabilimenti balneari del primo Novecento, che resero il litorale abruzzese famoso per eleganza e stile: così, nelle stanze si rinnova il gioco del motivo rigato bianco-e-blu mentre sulle terrazze le strutture lignee dei bersot ricordano i baldacchini che, come mini architetture, punteggiavano le spiagge assolate. Senza rinunciare, però, a un segno contemporaneo, che si rivela nel rivestimento ceramico effetto resina-matt (è la serie ‘Elements Design’ di Ceramiche Keope, colore White), scelto per tutti pavimenti delle stanze e anche per le pareti dei bagni.
Ma è all’ultimo piano che il progetto di restyling entra in piena sintonia con il paesaggio: qui, una suite crea un volume a sé stante e grazie a un nastro vetrato che corre su tre fonti e riquadra il Mediterraneo, incorniciando bellissimi squarci di paesaggio come tele traslucide.
Anche le scelte materiche enfatizzano la luminosità, rendendo quasi etereo lo spazio: i 45 metri quadrati della Penthouse Suite sono infatti rivestiti con un candido gres porcellanato dalle delicate striature che ricordano le venature del marmo (si tratta della serie ‘Elements Lux’ di Ceramiche Keope). L’uso del grande formato 60×120 cm, grazie a una superficie lucida e riflettente,
“amplifica lo spazio nell’area giorno-notte, mentre nel bagno arriva addirittura a disegnare contenitori e volumi”, come sottolineano gli architetti.
L’arredo è ridotto al minimo: semplici appenderie sostituiscono gli armadi e un’alcova crea privacy per l’area notte.
La luce del Mediterraneo e il suo candore modulano la percezione degli spazi, ravvivando l’insieme e creando un perfetto equilibrio cromatico.

Autore: Laura Ragazzola

Headquarter Marfisi Carni s.r.l.
Crossing Architecture

Il polo Headquarters Marfisi Carni, negli ultimi anni, è stato oggetto di una riqualificazione importante che ha investito diversi edifici collocati su un fronte urbano di periferia che da sempre rappresenta una street a vocazione commerciale e industriale di connessione tra il Comune di Treglio e quello di Lanciano (Ch).

Questo progetto è stato selezionato ed esposto al Festival dell’Architettura Nazionale del 2014 che si è tenuto a Bari all’interno del dibattito internazionale sullearee di frangia urbana, quelle aree in cui a dissolvenza si incrociano (cross) i margini della città con i primi segni del paesaggio”. Luoghi spesso senza autori, dove si dovrebbero consumare le sperimentazioni contemporanee, indagando gli impatti di queste con le prime forme di paesaggio, con il quale la città contemporanea ambisce a stringere un patto: il “patto città-campagna”.

La percorrenza , sia lenta che veloce, diventa presupposto per armonizzare questa doppia percezione che si ha osservando l’edificio dalle diverse infrastrutture che caratterizzano il contesto (crossing architecture).

I preesistenti corpi di fabbrica, fatti di superfetazioni affastellate, generavano disordine visivo e disarmonia pertanto si è pensato di plasmare un unico grande edificio che riuscisse a trattenere la totalità degli aspetti complessi.

Attraverso questo intervento si realizza una riqualificazione di volumi preesistenti ricuciti attraverso “l’imballaggio” dei prospetti all’interno di un nuovo paramento che mette a sistema l’intero isolato industriale deframmentato.

La trasformazione architettonica è avvenuta attraverso un processo graduale di adattamento degli spazi ancora oggi in via di completamento e riconversione per permettere la continuità dell’attività aziendale.

La conservazione e l’unione dei diversi involucri (prima sede Marfisi, ex casa del custode, ex scatolificio) ha pertanto creato la complessità dello spazio rigenerato avendo come presupposto l’impiego delle minime risorse soprattutto come approccio etico al consumo delle materie prime.

Lo spazio si percepisce complesso e unico contemporaneamente.

L’utente passa da un volume all’altro attraversando un patio interno che trattiene in se uno spazio pubblico e privato di accoglienza periurbana.

La luce diventa materia architettonica che caratterizza il paramento traforato che racconta il volo delle foglie autunnali sulla facciata. La stagionalità del paesaggio reso architettonicamente attraverso la luce e le ombre si interseca alle essenze autoctone del paesaggio rustico abruzzese poste all’interno delle asole di biodiversità.

Antonucci Crognale Archquadro Associati

Arch.Laura Crognale

Arch.Dante Antonucci

Appunti 18/04/2021

#Under_construction_Marfisi

Transitorio. Forse le immagini più belle di un cantiere sono quelle che appartengono ad uno stato “in divenire”, un tempo vuoto, dove passato storico e futuro si incontrano per lasciarsi il testimone. E’ questa la fase del “transitorio”, quando il vecchio lascia posto al nuovo, ma contemporaneamente rimane l’impronta su cui ridefinirne la forma e l’involucro del futuro. Affascinata da sempre da quel “modus operandi” tipico del Barocco che nascondeva la severità di epoche passate dietro stucchi decorativi per dar forma ad una ricchezza effimera di un’epoca che celava nell’apparire il suo decadimento e la sua povertà…allora mi chiedo, chi siamo noi? Forse come gli eredi di stratigrafie urbane interpretiamo il nostro tempo con la stessa fragilità di forma ma consapevoli che nel gesto creativo contemporaneo la radice delle scelte investe la sfera del rispetto del territorio e dell’impatto che un’opera ha sull’ecosistema. Allora il gesto creativo diventa opera sartoriale di scucitura e ricucitura di architetture esistenti messe insieme per ricreare un involucro che cerca di trattenere in se presente e passato nel rispetto verso il futuro.

#tuteliamo il futuro

Citazione
ANDREA MATI

La vera rivoluzione,

il vero cambiamento

che può dare un corso diverso al nostro futuro, dipende da come agiamo nel metro quadro che occupiamodalla nostra relazione che manteniamo con quel piccolo lembo di spazio che ci offre ossigeno, cibo, luce, acqua e che non è sostituibile con prodotti industriali.

Abstract 2020

#architetture marginali

Area di frangia urbana dove si intrecciano, a dissolvenza incrociata, i temi della periferia urbana, della percorrenza, del paesaggio industriale e della “strip commerciale” che a stento cercano di resistere alle dinamiche celeri di trasformazioni economiche e di regressione.

Il contesto è tipico di quei paesaggi quotidiani marginali che hanno lasciato ai piani regolatori la forza di generare volumi senza alcuna consapevolezza che nessuno li avrebbe mai usati.

La progettazione urbana di questo secolo ci ha lasciato una sovrabbondanza di spazi vuoti mai utilizzati e mai completati a cui si aggiungono gli ulteriori volumi recentemente abbandonati.

Credo che questo sia la rappresentazione dell’inadeguatezza di tutti i sistemi di governo dei territorio soprattutto quelli di carattere previsionale delle nostre città. Abbiamo la necessità di ripensare totalmente lo sviluppo urbano, e dobbiamo pensare ad un futuro che parametrizzi la qualità e l’innovazione sociale dei progetti.

Abbiamo la necessità di ibridare lo spazio pubblico con lo spazio privato ed è questo che siamo riusciti in parte a fare in questo progetto molto complesso.

La sede Marfisi nasce sul primo stabilimento e su ulteriori due volumi che erano destinati ad abitazioni del custode e industria di cartoni. Nati in epoche differenti il primo dei tre volumi è stato edificato prima ancora delle infrastrutture e pertanto nasce a ridosso della strada secondaria a cui si affianca un tracciato ferroviaro in via di dismissione. L’esigenza della ditta era quella di continuare a lavorare all’interno dello stabile originario e pertanto i lavori concessi per la rigenerazione dei luoghi è avvenuta sempre lasciando attiva tutta la produzione.

Progetto esposto e presentato al festival internazionale di Architettura da sempre ha tentato di connotare questi luoghi senza autori attraverso la sperimentazione contemporanea di un involucro ad identità permutabile, in cui si mescola la preesistenza a spazi fluidi che sembrano risentire di quel flusso di attraversamento continuo delle percorrenze quotidiane.

Identità dei luoghi e identità aziendale ha portato alla definizione del tweet caratteristico “sottovuoto architettura a lunga conservazione”.

Successivamente è stata studiata la texture che doveva traforare questo imballaggio architettonico che nasce dalla doppia esigenza di caratterizzare la facciata ma anche di risolvere l’eventuale effetto vela che potrebbe avere una superficie unica. Per tale motivo è stata studiata una texture immaginando delle foglie che traforassero l’involucro a rappresentazione della natura nella stagione autunnale.